Il ricordo (e il saluto) a Marco Ferretti
04.02.21
Se è consentita un pò di leggerezza di fronte alla morte - per rivalsa su quella così vigliacca che ci viene addosso in questi giorni - una parte del nostro lavoro è parente prossima del nascondino. Tu dai la caccia al leader di turno, per dare un "buco" ai colleghi, loro fanno lo stesso con te. E, quando sei a Montecitorio, i commessi lo fanno con tutti. Ecco, Marco Ferretti è stato uno di quelli che questo "gioco" lo ha governato per anni a regola d'arte, lasciando a noi cronisti l'agibilità possibile e ai leader di turno la facoltà di ritirarsi, quando necessario, dietro uno scudo invisibile. Quando e se lo vogliono, e a volte non è facile capirlo. Ma se hai speso quarant'anni come commesso alla Camera, dalla Sala stampa all'anticamera dei ministri, mentre aumentava il numero delle strisce sulle maniche della divisa con il nastrino tricolore, lo capisci al volo. Quarant'anni sono una vita, che incrocia quella del Paese, con i suoi protagonisti e le sue stagioni, i suoi tic e i suoi riti, e davvero in questa vita generazioni di cronisti parlamentari si sono interfacciati con Marco. Un esempio vivente della differenza che passa tra l'autorevolezza e l'autorità, di quelle persone che gestiscono una responsabilità senza sbavature, senza facilonerie nè inutili rigidità. Ognuno di noi ha senz'altro una quantità di anedotti che vedono protagonista Ferretti. In tutti sicuramente c'è un sorriso dietro le lenti dei suoi occhiali, un cenno, uno sguardo a dare disco verde o consigliare di ritentare un'altra volta. Questa è la faccia della medaglia che era visibile ai più, e non è in questo che si risolve un lavoro come il suo, ma già questo ci basta per salutare un galantuomo. Quasi quasi - magari non gli sarebbe dispiaciuto pensarsi così - un collega.